Chi ha subito delle lesioni a seguito di un sinistro chiede sempre al proprio avvocato quale sarà l’ammontare del risarcimento. L’idea comune, infatti, è che ci sia una sorta di formula matematica o di tabella, dalla quale desumere con precisione aritmetica il risarcimento dovuto per ogni tipo di danno.
In effetti, questa idea non è del tutto campata in aria. Anche chi non frequenta abitualmente le aule dei Tribunali sa infatti che esistono davvero delle tabelle che stabiliscono l’ammontare dei risarcimenti a seconda dell’età del danneggiato e della percentuale di invalidità. Quello che però molti non sanno è che il risarcimento può, anzi, deve essere ogni volta parametrato, tenendo conto anche delle peculiarità di ogni fattispecie.
Si tratta, per farla breve, della cd. personalizzazione del danno.
Qualche anno fa la Cassazione ha precisato che il cd. danno non patrimoniale ricomprende diversi aspetti: il danno morale (“paterna d’animo o sofferenza interiore subiti dalla vittima dell’illecito ovvero la lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana”), il danno biologico (“lesione del bene salute”) ed il danno esistenziale (“lo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato”).
Queste voci hanno però solo un valore descrittivo dei possibili profili dei quali il danno si compone e di ognuno di essi il Giudice deve tener conto quando procede alla concreta ed unitaria liquidazione del danno. Il risarcimento riconosciuto alla vittima di un sinistro deve dunque essere unitario, ma anche integrale, in quanto, per l’appunto, deve tener conto di ogni possibile profilo di danno (facendo però attenzione a non computare più volte la stessa voce, denominandola in modo diverso).
Sull’operazione che deve compiere il Giudice quando liquida un danno è tornata ad esprimersi poche settimane fa la Cassazione (sentenza Cassazione 21939_17), ribadendo e precisando alcuni concetti molto interessanti.
La Corte ha infatti affermato che l’attività di liquidazione si compone di due fasi:
- la prima è volta ad accertare “le conseguenze ‘ordinarie’ inerenti al pregiudizio, cioè quelle che qualunque vittima di lesioni analoghe subirebbe”;
- la seconda è invece volta ad individuare “le eventuali conseguenze ‘peculiari’, cioè quelle che non sono immancabili, ma che si sono verificate nel caso specifico”.
Perché la Cassazione opera questa distinzione?
Perché le conseguenze ordinarie devono essere liquidate in modo uniforme, facendo uso delle tabelle; le conseguenze peculiari devono invece essere liquidate senza far ricorso ad un criterio automatico, ma esaminando di volta in volta quale sia il risarcimento più congruo per quella particolare fattispecie.
Il soggetto che chiede un risarcimento dovrà dunque indicare e provare di aver subito a causa del sinistro conseguenze “peculiari”; il Giudice, dal conto suo, sulla base di quanto argomentato e provato dal danneggiato, dovrà invece valutare se in quel caso specifico sia effettivamente necessario superare la liquidazione uniforme e procedere ad una liquidazione ulteriore, che tenga conto delle particolari circostanze verificatesi nella vicenda sottoposta al suo esame.
Tutto ciò viene sintetizzato nella sentenza della Cassazione con il seguente principio di diritto: “Con riguardo alla liquidazione del danno non patrimoniale, ai fini della c. d. ‘personalizzazione’ del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze ‘ordinarie’ inerenti ai pregiudizi che ‘qualunque’ vittima di lesioni analoghe ‘normalmente’ subirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse ad esito del dibattito processuale, le ‘specifiche’ circostanze di fatto, ‘peculiari’ al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze ‘ordinarie’ già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata del danno non patrimoniale assicurata dalle previsioni tabellari; da queste ultime distinguendosi siccome legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata, caratterizzata da aspetti legati alle dinamiche emotive della vita interiore o all’uso del corpo e alla valorizzazione dei relativi aspetti funzionali, di per sé tali da presentare obiettive e riconoscibili ragioni di apprezzamento (in un’ottica che, ovviamente, superi la dimensione ‘economicistica’ dello scambio di prestazioni), meritevoli di tradursi in una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità”.
In conclusione, dunque, il risarcimento non è e non deve essere la semplice applicazione dei coefficienti presenti in una tabella, ma deve essere il risultato di un attento esame della fattispecie e di una specifica valutazione di tutte le conseguenze, ordinarie e peculiari, verificatesi nel caso, conseguenze che, naturalmente, sarà onere del danneggiato provare e sottoporre all’attenzione del Giudicante.
Avv. Mauro Sbaraglia