Abbiamo visto che quella del decreto ingiuntivo è la strada più veloce per ottenere un provvedimento di condanna del debitore, provvedimento con il quale iniziare poi la vera e propria attività di recupero del credito.
Ma qual è il passo successivo?
Il passo successivo è quello di pignorare i beni del debitore e, a mio avviso, il primo tentativo da fare è quello di provare a pignorare il conto corrente del debitore con un pignoramento presso terzi.
La procedura consiste, in estrema sintesi, nel notificare un atto – chiamato per l’appunto atto di pignoramento presso terzi – al debitore ed alla sua banca; quest’ultima, se ci sono somme sul conto corrente, le vincolerà (nei limiti dell’ammontare del credito aumentato della metà), in attesa che il Giudice ne disponga poi l’assegnazione al creditore.
La procedura è abbastanza snella e relativamente veloce (i tempi variano ovviamente da Tribunale a Tribunale, ma di solito sono ragionevoli) ed anche i costi sono ben inferiori a quelli delle altre forme di esecuzione (mobiliare e immobiliare).
Ma come facciamo a sapere presso quale banca si trova il conto corrente del nostro debitore?
Se in passato abbiamo ricevuto un pagamento con assegno o con bonifico, possiamo facilmente risalire alla banca; altrimenti c’è la possibilità di richiedere, ai sensi dell’art. 492 bis c.p.c., l’accesso alla banca dati dell’Agenzia delle Entrate; quest’ultima ci indicherà, tra le altre cose, anche i rapporti bancari del soggetto da noi indicato.
Avevo già parlato di questa procedura qualche mese fa (leggi qui) e quindi non ripeto quanto già detto.
Ricordo semplicemente che si tratta di una procedura veloce, economica e che spesso dà buoni risultati.
Purtroppo le informazioni rese dall’Agenzia delle Entrate non sono aggiornate in tempo reale, per cui può capitare che un conto corrente che ci viene indicato sia stato in realtà chiuso; oppure può succedere che il conto sia aperto, ma non ci siano somme sufficienti a soddisfare il nostro credito.
Tuttavia, in mancanza di altre informazioni vale la pena provare.
Avv. Mauro Sbaraglia