Tra le tante questioni che possono porsi in caso di separazione o divorzio c’è anche quella relativa all’educazione religiosa dei figli.
Cosa succede se i due genitori hanno idee diverse? Il bambino deve ricevere gli insegnamenti di entrambe le religioni o bisogna sceglierne una?
Il 30 agosto scorso la Corte di Cassazione (ordinanza n.21916/19) si è pronunciata su questo problema.
Il caso riguardava un bambino di circa sette anni, il cui padre, di religione cattolica, non voleva che il figlio partecipasse con la madre alle cerimonie dei testimoni di Geova, né tanto meno ricevesse le loro istruzioni religiose.
Il Tribunale aveva accolto la domanda del padre, sostenendo che “la scelta paterna sia maggiormente rispondente all’interesse del piccolo, consentendogli più agevolmente la integrazione nel tessuto sociale e culturale del contesto di appartenenza, il quale, benché notoriamente secolarizzato, resta pur sempre di matrice cattolica”.
In secondo grado la Corte d’Appello aveva sostanzialmente confermato la sentenza del Tribunale, riferendo che il ragazzo era stato battezzato secondo il rito cattolico e che sarebbe stato “rispondente all’interesse del minore mantenere tale iniziale libera e comune scelta dei genitori consentendo a G. di completare la formazione religiosa cattolica sino al sacramento della Cresima (e cioè sino ai 12-13 anni), senza ricevere altri insegnamenti contrastanti con quelli della religione cattolica e senza frequentare contemporaneamente le adunanze della Sala del Regno”.
Il fascicolo è poi arrivato alla Corte di Cassazione, che ha invece evidenziato come le due sentenze appena citate violino i principi costituzionali e quelli delle Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e come, in casi come questi, sia fondamentale sentire il minore e capire il suo punto di vista.
In sintesi, la Cassazione ha rilevato che:
- qualora sorgano contrasti tra i genitori su questioni di particolare importanza (ad esempio, l’educazione religiosa del figlio minore), il Giudice è chiamato a risolvere detto contrasto con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale dei figli ad una crescita sana ed equilibrata;
- in quest’ottica, il Giudice può adottare “provvedimenti, relativi all’educazione religiosa, contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro esplicazione determinerebbe conseguenze pregiudizievoli per il figlio, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo”;
- il Giudice, tuttavia, non può assumere tali provvedimenti sulla base di una sua personale valutazione delle religioni alle quali aderiscono i genitori, perché un giudizio di valore di questo tipo è precluso all’autorità giudiziaria;
- né una scelta compiuta in passato (il battesimo del bambino appena nato) può impedire ai genitori di cambiare idea negli anni successivi;
- per capire se sia davvero il caso di assumere provvedimenti che limitino la libertà religiosa ed il ruolo educativo di un genitore è necessario accertare in concreto se e quali conseguenze pregiudizievoli possa avere per il figlio una scelta piuttosto che un’altra;
- questo accertamento “non può che basarsi sull’osservazione e sull’ascolto del minore in quanto solo attraverso di esse tale accertamento può essere compiuto”.
Dunque, concludendo: un provvedimento così delicato com’è quello che limita la libertà religiosa ed il ruolo educativo di un genitore può essere assunto solo dopo aver verificato molto attentamente i possibili rischi per la salute psico-fisica del minore; questa verifica, per potersi ritenere attendibile, non può prescindere dall’ascolto del minore, ascolto che, ovviamente, deve essere effettuato con tutte le cautele e le accortezze necessarie per evitare che esso possa turbare il bambino.
Avv. Mauro Sbaraglia