Tutti sappiamo che il medico, prima di eseguire un intervento o un trattamento, deve informare esaustivamente il paziente sui rischi e le possibili complicanze; e tutti sappiamo che la mancata acquisizione del consenso informato comporta una responsabilità in capo al medico.
Quello però che forse tutti non sappiamo è che la responsabilità del medico – e quindi l’obbligo di risarcire il paziente – potrebbero sussistere anche se l’intervento sia stato eseguito correttamente.
Nel 2017 la Corte d’Appello di Roma aveva riconosciuto un risarcimento ad una donna, affermando che “nonostante l’intervento chirurgico eseguito dal M. fosse stato condotto nel pieno rispetto delle leges artis, senza possibilità di riscontro di alcuna responsabilità delle parti convenute, detto intervento era stato, tuttavia, eseguito senza che fosse stato in precedenza correttamente acquisito il consenso informato della paziente”.
In buona sostanza, la Corte d’Appello aveva rilevato che la paziente non era stata informata in merito “alla natura dell’intervento praticato, alle complicanze prevedibili e non prevenibili e alle alternative terapeutiche concretamente praticabili” ed aveva quindi riconosciuto un risarcimento alla donna.
La Corte di Cassazione (ordinanza n.11112/20) ha di recente confermato la sentenza di secondo grado, precisando inoltre che “la struttura sanitaria trascurò irragionevolmente di lasciare alla paziente un lasso temporale adeguato a maturare e raggiungere una consapevole scelta”; dunque, non solo erano state date informazioni carenti, ma non era stato dato nemmeno tempo sufficiente alla paziente per decidere se sottoporsi o meno all’intervento.
Ma una volta appurato il diritto al risarcimento, bisogna chiedersi: come si quantifica la somma dovuta al paziente?
La “semplice” violazione del diritto del paziente di sapere a cosa va incontro – cd. diritto all’autodeterminazione – non può che essere risarcita in via equitativa.
Tuttavia, può essere accordato al paziente un ulteriore risarcimento, per le conseguenze negative sulla salute, laddove egli sia in grado di provare che se fosse stato informato correttamente non si sarebbe sottoposto all’intervento.
In altre parole, se il paziente è in grado di provare, anche in via presuntiva, che se avesse saputo a quali pregiudizi sarebbe andato incontro non si sarebbe sottoposto all’intervento, quei pregiudizi dovranno essere risarciti con una somma ulteriore rispetto a quella dovuta per la violazione del diritto all’autodeterminazione.
Avv. Mauro Sbaraglia