Torno a parlare del consenso informato, perché la Corte di Cassazione continua ad emettere interessanti sentenze sul punto.
Una della ultime pronunce è la n.17322/20, che riguarda il caso di un intervento chirurgico eseguito correttamente dal medico, ma che tuttavia ha causato seri problemi al paziente.
Vediamo meglio cosa è successo.
Nel 2001 un uomo subiva un intervento di cardiochirurgia, consistito nella sostituzione delle “valvole cardiache naturali con protesi valvolari meccaniche […] di produzione brasiliana”.
Queste valvole, che pure “avevano superato tutti test e le sperimentazioni, conseguendo la certificazione CE e venendo in seguito utilizzate in diversi Stati, anche europei, con impianto in oltre seimila casi fuori del territorio italiano”, avevano poi manifestato gravi difetti di funzionamento, anche nel caso dell’uomo operato nel 2001.
Quest’ultimo aveva dunque fatto causa all’ospedale ed al medico, lamentando la lacunosità delle informazioni che gli erano state offerte dal medico.
Sia in primo che in secondo grado la domanda era stata rigettata.
In merito al consenso informato, la struttura ospedaliera si era difesa, riferendo che “il consenso informato non poteva essere esteso al tipo di valvola da impiantare, involgente aspetti tecnici difficilmente comprensibili dal profano e comunque, ove l’informazione fosse stata estesa al tipo di valvole da impiantare, il sanitario avrebbe dovuto dire che le valvole TT erano certificate CE, previa verifica da parte di un organismo tedesco altamente qualificato e che avevano superato i test e non si era manifestato alcun inconveniente”.
In buona sostanza, il medico non avrebbe potuto dare informazioni troppo tecniche, perché difficilmente comprensibili da un non addetto ai lavori e, ad ogni modo, al momento dell’intervento i difetti di funzionamento non erano ancora emersi.
Il paziente, dal canto suo, aveva sostenuto che il medico avrebbe dovuto segnalare che, al posto delle nuove valvole proposte dal medico, c’era la “possibilità di preferire ad esse – che costituivano comunque una novità nel trattamento chirurgico – le valvole già in uso e adeguatamente sperimentate”.
Il fascicolo è arrivato infine davanti alla Corte di Cassazione.
Quest’ultima, precisato che siamo di fronte ad una caso di “omessa informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un pregiudizio alla salute ma senza che sia stata dimostrata la responsabilità del medico”, ha affermato che la violazione della normativa sul consenso informato e quindi del diritto del paziente all’autodeterminazione sussiste solo se quest’ultimo dimostri che, se fosse stato informato esaustivamente, non si sarebbe sottoposto all’intervento.
Dice la Cassazione: “è risarcibile il diritto violato all’autodeterminazione a condizione che il paziente alleghi e provi che, una volta in possesso dell’informazione, avrebbe prestato il rifiuto all’intervento”.
Poiché il paziente non ha detto, né tanto meno ha provato, che se fosse stato informato in modo più approfondito non si sarebbe sottoposto all’intervento, egli non ha diritto al risarcimento del danno.
Il principio espresso dalla Corte è un principio ormai noto; tuttavia, rilevo una qualche difformità rispetto ad altre precedenti pronunce della Cassazione, nelle quali era stato riconosciuto un risarcimento, liquidato in via equitativa, per il solo fatto che il paziente non fosse stato informato adeguatamente.
Avv. Mauro Sbaraglia