La Corte di Cassazione (ordinanza n.18528/23) è tornata ad occuparsi di usucapione, ribadendo i principi già espressi in passato, principi che avevo segnalato su questo sito alcuni mesi fa.
Questa volta il caso riguardava un giardino, che un donna sosteneva di aver usucapito dalla madre.
La questione sulla quale si è pronunciata la Corte era grosso modo la seguente: ai fini dell’usucapione, è sufficiente che un soggetto abbia la disponibilità dell’immobile per il tempo previsto dalla legge o serve altro?
La Cassazione ha risposto che la semplice disponibilità non è sufficiente, in quanto “il possesso utile ai fini della configurazione dell’acquisto del diritto di proprietà a titolo originario per usucapione, non si risolve nella mera utilizzazione del fondo, ma deve concretarsi in atti idonei ad esprimere, in concreto, l’esercizio della signoria uti dominus sul bene”.
Ciò significa, in buona sostanza, che per usucapire un bene non basta utilizzarlo continuativamente, ma bisogna anche impedire l’utilizzo da parte degli altri; infatti, “il giudice di merito deve accertare, in concreto, se il soggetto che si trova in relazione materiale con la res abbia dimostrato non soltanto di averlo utilizzato, ma di averne, per l’appunto, precluso ai terzi la fruizione”.
Ma come si dimostra questa volontà di precludere ai terzi la fruizione?
Il modo più semplice è quello di recintare il bene, in quanto “la recinzione materiale del fondo agricolo, quindi, costituisce la più importante espressione dello ius excludendi alios”.
Pertanto, un soggetto che sia in grado di provare che, per il tempo previsto dalla legge, abbia utilizzato un bene immobile e lo abbia altresì recintato, avendo così impedito agli altri di usufruirne, avrà ottime possibilità di veder accolta la sua domanda di usucapione.
Avv. Mauro Sbaraglia
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