Il nostro ordinamento prevede che l’accettazione di un’eredità possa essere fatta in modo espresso o tacito.
Infatti, l’art. 475 c.c. dispone: “L’accettazione è espressa quando in un atto pubblico o in una scrittura privata, il chiamato all’eredità ha dichiarato di accettarla oppure ha assunto il titolo di erede”.
Il successivo art. 476 c.c., prevede, invece: “L’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”.
Tra le due, quella dell’accettazione tacita è certamente l’ipotesi più interessante e quella che più spesso dà adito a problemi, perché può capitare che un soggetto, magari inconsapevolmente, ponga in essere un atto, che comporta l’accettazione tacita dell’eredità.
Il 14 aprile scorso la Corte di Cassazione ha depositato l’ordinanza n.12259/22, con la quale si è occupata proprio di un caso di accettazione tacita dell’eredità.
La controversia aveva ad oggetto, tra l’altro, una voltura catastale e si discuteva se questa voltura potesse essere qualificata come accettazione tacita dell’eredità.
La Corte ha risposto in modo molto netto, affermando che “a differenza della mera denuncia di successione, che ha valore esclusivamente fiscale, la voltura catastale ha invece rilievo sia agli effetti civili che a quelli catastali, ed atto idoneo ad integrare un’accettazione tacita dell’eredità”.
Dunque, la voltura catastale è uno dei quegli atti che assumono rilievo, ai sensi dell’art. 476 c.c., ai fini dell’accettazione tacita dell’eredità.
Quindi, in conclusione, chi non vuole accettare un’eredità o chi non sa ancora se accettare o meno deve prestare molta attenzione a quello che fa, perché il compimento di un atto potrebbe, inconsapevolmente, comportare l’accettazione tacita di un’eredità.
Avv. Mauro Sbaraglia
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