Avvocato e cliente possono sottoscrivere un accordo, con il quale determinano l’ammontare del compenso dovuto al professionista.
In questo modo, il cliente sa perfettamente quanto dovrà pagare e l’avvocato avrà un documento, che potrà azionare in caso di omesso pagamento.
Attenzione però alla forma dell’accordo.
L’art. 2233 c.c. prevede che “sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali”.
L’accordo sul compenso non può essere quindi verbale, ma deve necessariamente essere fatto per iscritto; in caso contrario, l’accordo è nullo.
Ma cosa succede se l’avvocato, prima di avviare la sua attività, invia via mail il testo dell’accordo al cliente e questi non lo firma, ma continua comunque ad essere difeso dall’avvocato?
La condotta del cliente può essere interpretata come un’accettazione tacita della proposta scritta dell’avvocato?
Secondo l’ordinanza n.15563/22 della Corte di Cassazione, la risposta è no.
Dal momento che la legge impone la forma scritta, l’accettazione tacita è irrilevante; alla mail dell’avvocato avrebbe dovuto fare seguito, quanto meno, una mail di accettazione del cliente (“Pertanto, anche a voler ritenere […] che la proposta sia da identificarsi nella e-mail dell’avv. […] datata 20.1.2014 (e sia dotata, quindi, della forma scritta), mancherebbe l’accettazione nella medesima forma”).
Visto che non c’è stata un’accettazione scritta e che quindi non c’è nessun accordo, il compenso dell’avvocato deve essere determinato secondo i parametri del D.M. n.55/14.
In conclusione, le ipotesi sono due:
- se c’è un accordo scritto, il compenso dell’avvocato viene determinato da tale accordo;
- se non c’è un accordo scritto, il compenso viene determinato applicando i parametri del D.M. n.55/14.
Avv. Mauro Sbaraglia
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