Un automobilista con la patente sospesa per una precedente infrazione viene fermato dalla Polizia, che gli fa quindi un altro verbale.
L’uomo fa ricorso, sostenendo di “essersi posto alla guida dell’autoveicolo per lo stato di necessità di soccorrere la propria compagna, che accusava forti dolori e perdita di sensi” e chiede quindi l’annullamento del secondo verbale.
Ribadendo le decisioni dei due precedenti grado di giudizio, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.7457/23, gli dà però torto e rigetta quindi il ricorso.
Vediamo perché.
La motivazione della Cassazione è molto sintetica e si fonda su due considerazioni:
- nel verbale redatto dalla Polizia “si dava atto che il trasgressore aveva dichiarato di essersi posto alla guida per spostare la macchina ed accompagnare la ragazza a casa e che tale dichiarazione non aveva niente a che fare con l’asserito malore della compagna”;
- per poter ritenere sussistente lo stato di necessità, che giustifica l’uso dell’auto da parte di un soggetto la cui patente è stata sospesa, “è indispensabile che ricorra un’effettiva situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile, ovvero – quando si invochi detta esimente in senso putativo – l’erronea persuasione di trovarsi in tale situazione, provocata non da un mero stato d’animo, ma da circostanze concrete e oggettive che la giustifichino”.
In altre parole, dunque, da un lato nel verbale l’uomo non aveva fatto alcun cenno ai problemi di salute della compagna, dall’altro lato lo stato di necessità ricorre solo in casi particolari, quando cioè si è in presenza di una “situazione di pericolo imminente di danno grave alla persona, non altrimenti evitabile”.
Dal momento l’automobilista non ha provato l’effettiva sussistenza di questa situazione di grave pericolo, il ricorso è stato respinto.
Avv. Mauro Sbaraglia
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