In un giudizio di divorzio, un uomo chiede l’assegnazione della casa coniugale, che qualche anno prima aveva acquistato insieme alla moglie; nonostante la domanda venga respinta dal Tribunale, l’uomo continua a vivere, da solo, nell’appartamento; l’ex moglie decide allora di fargli causa, chiedendo il pagamento di una somma a titolo di indennità di occupazione dell’immobile.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.10264/23, ha accolto solo parzialmente la domanda della donna.
Vediamo perché.
La regola generale è quella dettata dall’art. 1102 c.c., secondo cui “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto…”.
Tuttavia, aggiunge la Cassazione, se “la natura del bene di proprietà comune non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari (come accertato in fatto per l’abitazione coniugale in questione), l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure, appunto, mediante avvicendamento con un uso turnario da parte dei comproprietari”.
In altre parole, dal momento che per un appartamento è difficile ipotizzare un uso simultaneo, le alternative sono sostanzialmente due: darlo in locazione e suddividere gli incassi oppure concordare un utilizzo a turni.
La richiesta di utilizzo turnario deve essere però manifestata espressamente dal comproprietario e fino a quando ciò non avvenga egli non può chiedere alcuna indennità all’altro comproprietario.
Tradotto in parole semplici, il diritto all’indennità di occupazione sorge solo nel momento in cui il comproprietario che non occupa l’immobile chieda all’altro comproprietario di concordare un uso turnario. Per l’occupazione precedente alla richiesta di uso turnario non si può chiedere alcuna indennità.
Il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione è quindi il seguente: “in materia di comunione del diritto di proprietà, allorché per la natura del bene o per qualunque altra circostanza non sia possibile un godimento diretto tale da consentire a ciascun partecipante alla comunione di fare parimenti uso della cosa comune, secondo quanto prescrive l’art. 1102 c.c., i comproprietari possono deliberarne l’uso indiretto. In mancanza di deliberazione, il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili con decorrenza dalla data in cui allo stesso perviene manifestazione di volontà degli altri comproprietari di avere un uso turnario o comunque di godere per la loro parte del bene“.
Avv. Mauro Sbaraglia
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