Volendolo spiegare in parole semplici, si può dire che la collazione è quell’istituto in forza del quale fanno parte dell’eredità di un soggetto anche le donazioni che egli ha fatto mentre era in vita.
Ma allora, sono soggette a collazione le somme che un genitore ha versato al figlio convivente? Gli altri figli possono chiedere che se ne tenga conto nel momento in cui i beni ereditari vengono suddivisi?
Secondo l’ordinanza n.18814/23 della Corte di Cassazione, la risposta non può essere automatica e bisogna valutare caso per caso.
Innanzi tutto, perché “a norma dell’art. 742 c.c., non sono comunque soggette a collazione, tra le altre, le spese di mantenimento e di educazione, quelle sostenute per malattia, quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze, né le liberalità d’uso”.
Ci sono dunque delle somme che, per legge, non sono soggette a collazione.
Ma allora quand’è che una somma è soggetta a collazione? Qual è il presupposto della collazione?
La Cassazione precisa che “il presupposto dell’obbligo di collazione è, dunque, che il coerede ad esso tenuto, abbia ricevuto beni o diritti a titolo di liberalità dal de cuius, direttamente o indirettamente, tramite esborsi effettuati da quest’ultimo”.
Nel caso del quale si è occupata la Cassazione si discuteva dei versamenti effettuati dalla madre alla figlia convivente, versamenti che, secondo gli altri figli, dovevano essere soggetti a collazione; ebbene, sulla base di quanto detto sopra, la Corte ha invece negato che le somme fossero soggette a collazione, perché nel giudizio non è stato provato che quei versamenti fossero stati effettuati “per esclusivo spirito di liberalità”, ben potendo essersi trattato del semplice “adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza”.
Dunque, in conclusione, sono soggette a collazione solo quelle somme, che non sono espressamente escluse dalla legge e che sono state corrisposte per spirito di liberalità.
Avv. Mauro Sbaraglia
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