L’esatta individuazione del termine di prescrizione applicabile ad una fattispecie ha grande importanza, perché da ciò può dipendere l’accoglimento o meno di un ricorso. In effetti, accade spesso che, tra il momento in cui un credito viene ad esistenza e quello in cui l’agente di riscossione lo aziona nei confronti del contribuente, decorra un lasso di tempo molto lungo, così lungo che in alcuni casi può addirittura maturare la prescrizione.
Per superare questo ostacolo ed avvalersi di un termine prescrizionale più ampio, alcuni agenti di riscossione hanno sostenuto, ottenendo in alcuni casi pronunce di accoglimento, che se l’atto di riscossione non è impugnato tempestivamente il termine breve di prescrizione si converte in quello ordinario decennale. Se questa tesi sia o meno corretta è la questione che la Cassazione ha affrontato e deciso con una recentissima ordinanza (ordinanza Cassazione 20425_17).
La Corte di Cassazione è stata adita da un agente di riscossione che, dopo aver ottenuto una sentenza favorevole in primo grado, era invece risultato soccombente in secondo grado. Ebbene, la Cassazione ha confermato la sentenza di appello, affermando che il termine prescrizionale breve non si converte in quello decennale, neanche in caso di mancata impugnazione della cartella di pagamento.
La Corte ha richiamato una sua recente sentenza a Sezioni Unite (sentenza n.22397/16), nella quale si legge: “Il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la c.d. «conversione» del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti – in ogni modo denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via; pertanto, ove per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo”.
In altre parole, se è vero che la mancata impugnazione di un atto di riscossione rende definitivo il credito, è altresì vero che ciò non determina l’applicazione di un termine prescrizionale più lungo; resta dunque fermo il termine breve previsto dalla legge per ogni tributo.
La Cassazione ritiene che l’unico caso in cui l’estensione del termine ha luogo è quello in cui sopravviene un titolo giudiziale definitivo; solo in questo caso il termine prescrizionale breve si trasforma in quello ordinario decennale.
Pertanto, tornando alla vicenda oggetto della recente ordinanza della Cassazione, poiché in quel caso il credito azionato dall’agente di riscossione riguardava una tassa automobilistica, soggetta al termine di prescrizione triennale (ai sensi dell’art. 5 d.l. n.953/82), solo e soltanto tale termine triennale doveva applicarsi, senza alcuna possibilità di utilizzare il più esteso termine ordinario.
Avv. Mauro Sbaraglia