Nell’ormai lontano 1989 è entrata in vigore la legge n.39, rubricata “Modifiche ed integrazioni alla legge 21 marzo 1958, n. 253, concernente la disciplina della professione di mediatore”.
Si tratta di una legge che detta alcune disposizioni che interessano un po’ tutti, perché capita a tutti, almeno una volta nella vita, di avvalersi dell’attività di un mediatore (per l’acquisto di un appartamento, la locazione di un locale ecc.).
In questa sede voglio soffermarmi brevemente sulle disposizioni concernenti il riconoscimento della provvigione e, in particolare, sull’art. 6, che individua una condizione essenziale, che il mediatore deve documentare per poter esigere la provvigione.
Prima però facciamo un piccolo passo indietro.
Dopo aver definito la figura del mediatore (art. 1754 c.c.: “È mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”), il codice civile, all’art. 1755, chiarisce quando sorge il diritto alla provvigione. Infatti, il primo comma di quest’ultima disposizione prevede che “il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”.
Dunque, quando le parti concludono un affare grazie all’intervento di un mediatore, questi ha diritto alla mediazione.
Ma è sempre così? Non sempre.
Come anticipavo prima, infatti, il mediatore deve provare la sussistenza di un requisito: la sua iscrizione nel ruolo degli agenti di affari in mediazione.
Infatti, tornando alla legge n.39/89, essa prevede che presso ogni Camera di Commercio sia istituito un ruolo dei mediatori, al quale devono (è un obbligo e non una facoltà) iscriversi tutti coloro che intendono esercitare l’attività di mediazione.
Cosa succede, dunque, se due soggetti concludono un affare con l’intervento di un mediatore non iscritto al ruolo? Succede che il mediatore non ha diritto alla provvigione.
L’art. 6 della legge n.39/89 prevede infatti espressamente che “hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli”.
La norma è molto chiara e non si presta a fraintendimenti e la giurisprudenza l’ha quindi applicata rigorosamente. Interessante, ad esempio, è il caso di un mediatore che ha ottenuto l’iscrizione al ruolo nel corso delle trattative.
In questo caso la Corte di Cassazione (sentenza Cassazione 1735_16) ha affermato che la provvigione spetta solo per l’attività successiva all’iscrizione e che, pertanto, l’acconto versato dal cliente prima dell’iscrizione deve essere restituito, senza che possa riconoscersi all’iscrizione un effetto sanante.
La Corte ha dunque affermato il seguente principio: “Ai fini del riconoscimento del compenso al mediatore, è necessario che colui che abbia messo in relazione due o più parti per la conclusione di un affare sia regolarmente iscritto all’albo dei mediatori professionali mentre è sufficiente a far sorgere il diritto al compenso che l’iscrizione sia intervenuta dopo l’inizio dell’attività di mediazione e finché essa sia in corso, e tuttavia in questo caso la provvigione è dovuta solo da quel momento; ne consegue che chi abbia svolto attività di intermediazione è tenuto a restituire l’acconto percepito quando ancora non possedeva la qualifica di mediatore professionale per mancanza di iscrizione nell’apposito albo, non bastando la sopravvenienza della suddetta qualifica nel corso del rapporto di mediazione, né l’unitarietà del compenso spettante al mediatore a legittimare ex post un pagamento non consentito dalla legge al momento della sua effettuazione”.
La questione potrebbe sembrare di scarsa importanza; in realtà, nelle agenzie di maggiori dimensioni talvolta capita che non tutti i soggetti che vi lavorano siano iscritti al ruolo. Ciò espone il mediatore al rischio di vedersi opposto dal cliente uno spiacevole, ma legittimo, diniego al riconoscimento della provvigione.
Per non correre rischi non c’è altra strada che quella di procedere all’iscrizione.
Avv. Mauro Sbaraglia