La sentenza n.2060 della Corte di Cassazione, pubblicata lo scorso 29 gennaio, esprime due principi estremamente importanti in materia di responsabilità della struttura ospedaliera e dei componenti dell’equipe chirurgica.
Nella vicenda oggetto di causa un ospedale si è difeso da una richiesta di risarcimento danni sostenendo che la scelta di svolgere un esame e la verifica dello stato di salute del paziente competono solo ai medici e che pertanto, in caso di danni, non può esserci responsabilità della struttura.
Secondo la Cassazione non è così.
Infatti, nella sentenza si legge che una struttura ospedaliera non risponde “solo della pulizia e dell’ordine dei servizi offerti”, come se fosse un albergo, e non può dunque disinteressarsi dell’attività svolta dal personale medico.
Al contrario, “l’aver ospitato all’interno della propria struttura uno o più medici che abbiano compiuto attività medico-chirurgiche su una paziente (…), senza rispettare le regole di prudenza e provocando alla paziente un danno, è fonte, oltre che di responsabilità diretta dei medici, di responsabilità indiretta nei confronti della danneggiata in capo alla struttura sanitaria, senza che questa possa esimersi da tale responsabilità affermando di non essersi ingerita nelle scelte tecniche o di non aver partecipato alle attività svolte dai responsabili, o di non esser stata neppure portata a conoscenza di esse”.
Sussiste, dunque, una responsabilità concorrente del medico e della struttura ospedaliera nella quale è stata effettuata la prestazione che ha causato il danno; e ciò, si badi bene, a prescindere dall’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato o anche di una collaborazione stabile tra il medico e la struttura. In altre parole, la struttura risponde dei danni anche se il medico collabora saltuariamente con l’ospedale.
Il secondo principio espresso dalla Cassazione riguarda, come detto, la responsabilità dei componenti dell’equipe chirurgica, in particolare di “quelli posti in posizione subordinata”.
Nel caso deciso dalla Cassazione i Giudici di secondo grado avevano escluso la responsabilità di un medico, rilevando che quest’ultimo si era limitato a fornire assistenza ai due chirurghi con il compimento di alcune attività materiali, senza avere “la possibilità di interloquire sulle scelte da questi adottate e/o di esprimere il proprio dissenso“.
Anche in questo caso la Cassazione non è d’accordo.
Infatti, esiste nel nostro ordinamento un principio di controllo reciproco, in virtù del quale “l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali”.
Pertanto, se un componente di un’equipe, “con l’ausilio delle comuni conoscenze del professionista medio”, si rende conto di un errore, deve farlo presente e manifestare espressamente il suo dissenso, altrimenti risponde anch’egli del danno patito dal paziente (secondo la Corte, l’obbligo di vigilare sull’attività altrui viene meno solo per le fasi dell’intervento in cui i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti).
Del resto, aggiunge ancora la Cassazione, ciascun componente dell’equipe deve comportarsi con diligenza e quindi, ad esempio, deve “prendere visione, prima dell’operazione, della cartella clinica del paziente contenente tutti i dati atti a consentirgli di verificare, tra l’altro, se la scelta di intervenire chirurgicamente fosse corretta e fosse compatibile con le condizioni di salute del paziente”.
In conclusione, dunque, il nostro ordinamento non ammette che un soggetto che faccia parte di un’equipe si limiti a svolgere solo le sue mansioni, disinteressandosi di ciò che fanno i suoi colleghi, come se fosse uno spettatore; egli invece è tenuto ad assumere una condotta diligente, ancor prima che l’intervento abbia inizio, in modo che durante l’operazione egli possa dare un contributo consapevole ed informato.
Avv. Mauro Sbaraglia