L’assegno di mantenimento in favore dei figli copre le spese ordinarie, quelle spese che servono a soddisfare esigenze quotidiane, ma non le spese straordinarie, ovvero le spese “che, per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli” (Cassazione, sentenza n.9372/12).
Come vengono disciplinate dunque le spese straordinarie?
Queste ultime di solito vengono ripartite al 50% tra i genitori, anche se non mancano casi nei quali sono state previste percentuali diverse o sono state addirittura poste a carico di un solo genitore.
Le spese straordinarie devono essere preventivamente concordate dai coniugi, salvi i casi di spese mediche o comunque di altre spese urgenti, per le quali, nell’interesse del minore, non è possibile attendere il raggiungimento di un accordo preventivo.
Al riguardo, però, la giurisprudenza ha avuto modo di fare una precisazione molto importante, ma ignorata da molti: la mancanza di un accordo preventivo non fa venir meno in modo automatico il diritto al rimborso.
Mi spiego meglio.
Se c’è un accordo preventivo, non c’è dubbio che il genitore che ha anticipato le spese abbia diritto al rimborso.
Invece, “nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, dovrà, verificarsi in sede giudiziale la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione, riservata al giudice del merito, della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità per il minore e della sostenibilità della spesa stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori” (Cassazione, ordinanza n.16175/15).
Tradotto: siccome il nostro ordinamento ritiene prevalente su ogni altro interesse quello del minore, occorre valutare se la spesa straordinaria decisa unilateralmente da un genitore sia effettivamente utile per il figlio e, ovviamente, sia anche compatibile con le disponibilità economiche dei genitori.
Se all’esito di questa valutazione il Giudice ritiene che la spese sia utile e sostenibile economicamente, il rimborso è dovuto, anche se non c’è stato un accordo a monte.
Si può naturalmente discutere se ciò sia giusto o meno, perché il confine tra utile e superfluo e tra sostenibile ed eccessivo è talvolta labile, ma questo è l’orientamento della giurisprudenza attualmente prevalente e con questo bisogna fare i conti.
Cosa succede invece se un genitore decide di revocare il consenso inizialmente prestato per una spesa straordinaria?
Nello scorso mese di gennaio, con l’ordinanza n.1070/18, la Cassazione ha affrontato proprio questo problema. Il caso riguardava l’iscrizione di una bambina ad una scuola materna privata. Il padre inizialmente aveva dato il consenso, ma l’anno successivo aveva deciso di revocarlo.
Ancora una volta, il criterio utilizzato dalla Corte per decidere è stato quello dell’interesse del minore; nell’ordinanza si legge infatti che “è da ritenersi, pertanto, condivisibile l’assunto del giudice di appello, secondo cui il consenso del padre, una volta concesso, non poteva più essere revocato, senza alcuna specifica e rilevante ragione di convenienza e di adeguatezza all’interesse della minore”.
Dunque, il genitore può certamente revocare il consenso prestato in passato per una spesa straordinaria, ma tale revoca deve essere adeguatamente motivata ed il Giudice deve valutare tale motivazione tenendo conto dell’interesse del minore.
Avv. Mauro Sbaraglia