Chi conferisce un incarico ad un avvocato deve ricordare che quest’ultimo non può mai garantire il raggiungimento di un risultato; l’avvocato deve però agire con diligenza, per provare a conseguire quel risultato.
Del resto, il buon esito di una causa dipende da tanti fattori, molti dei quali indipendenti dalla volontà e/o disponibilità dell’avvocato.
Nel gergo tecnico si dice che quella che grava sul professionista è un’obbligazione di mezzi e non un’obbligazione di risultato.
Come detto, però, l’avvocato deve comportarsi con la dovuta diligenza, ovvero la diligenza del professionista di media attenzione e preparazione, per cercare di tutelare al meglio gli interessi del suo assistito.
E tra le attività che un avvocato diligente deve svolgere ci sono anche quelle propedeutiche alla causa, come ad esempio l’interruzione della prescrizione (se infatti il diritto del cliente si è prescritto, non ha più senso fare una causa).
Questi principi sono stati ribaditi il mese scorso dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.28629/19, nella quale la Corte, dopo avere richiamato il concetto di obbligazione di mezzi, ha precisato che “ai fini del giudizio di responsabilità nei confronti del professionista, rilevano le modalità dello svolgimento della sua attività in relazione al parametro della diligenza fissato dall’art. 1176 c.c., comma 2, che è quello della diligenza del professionista di media attenzione e preparazione”.
Nel caso di specie è stata affermata la responsabilità di un avvocato che non aveva interrotto la prescrizione, precludendo così al suo cliente la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni patiti a seguito di un sinistro stradale.
La Cassazione ha affermato infatti che “rientra nell’ordinaria diligenza dell’avvocato il compimento di atti interruttivi della prescrizione del diritto del suo cliente, i quali, di regola, non richiedono speciale capacità tecnica” e ciò tanto più ove si consideri che “l’interruzione in parola può essere anche stragiudiziale” (basta cioè una raccomandata o una pec).
Nel caso di specie, inoltre, è stato accertato che “non vi fu specifica informazione dell’avvocato al cliente in ordine alla possibile prescrizione del diritto”; in altre parole, non fu nemmeno segnalato al cliente l’imminente scadenza del termine prescrizionale, di modo che il cliente potesse attivarsi in altro modo.
In conclusione, dunque, non si può pretendere dall’avvocato l’esito positivo del giudizio, né tanto meno negare il pagamento del compenso in caso di sentenza negativa, ma si può pretendere, questo sì, una condotta professionale e diligente, che tuteli al meglio i diritti e gli interessi dell’assistito.
Avv. Mauro Sbaraglia