Nel nostro Paese ci sono molti casi sia di persone che, oltre ad un lavoro regolare, hanno anche un secondo lavoro in nero, sia di persone che invece lavorano solamente in nero.
Quando queste persone si separano o divorziano, si può porre il problema di riconoscere loro un assegno di mantenimento.
C’è infatti il rischio che il coniuge che lavora regolarmente sia obbligato a versare un mantenimento ad un soggetto che formalmente non lavora e non ha reddito, ma che in realtà svolge un’attività ed ha delle entrate regolari.
Con l’ordinanza n.5603/20, la Corte di Cassazione si è occupata del problema.
Il caso riguardava il divorzio di una coppia di Rovigo, divorzio all’esito del quale la Corte d’Appello di Venezia aveva riconosciuto un assegno divorzile in favore della moglie, che aveva riferito di lavorare saltuariamente e in nero.
La Cassazione ha riformato la sentenza, rinviando il fascicolo alla Corte d’Appello, affinché si pronunci nuovamente.
La motivazione addotta dalla Cassazione è la seguente.
L’assegno divorzile non serve a recuperare il tenore di vita goduto durante il matrimonio, ma a sostenere chi non dispone di mezzi economici adeguati e non può procurarseli per ragioni obiettive; il tutto tenendo conto anche del contributo dato alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune (ad esempio, deve essere “ricompensato” chi ha sacrificato la carriera per dedicarsi alla famiglia).
Ciò detto, di fronte ad un soggetto che lavora in nero, il Giudice è chiamato a compiere una verifica molto puntuale delle effettive entrate del soggetto, non potendosi limitare a prendere atto di quanto da lui dichiarato.
Tanto più che, se una persona lavora in nero, significa che quella persona ha una capacità lavorativa e reddituale e quindi potrebbe non avere diritto ad alcun mantenimento.
In conclusione, prima di riconoscere il mantenimento ad un soggetto che lavora in nero, il Giudice deve verificare, utilizzando tutti gli strumenti a sua disposizione, le reali condizioni economiche del soggetto, senza limitarsi a prendere atto di quanto riferito da quest’ultimo.
Avv. Mauro Sbaraglia